mercoledì 3 dicembre 2014

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Tra sogno e realtà: fermarsi o continuare

Come ho già scritto nel precedente post, credo che gli imprenditori si possano dividere in razionali e passionali. Come è facile intuire, la differenza consiste nell’affrontare i problemi più con la testa che con il “cuore” e viceversa. 

Non esiste il modo migliore in assoluto per fare impresa, non c’è una regola precisa, esistono solo i risultati ottenuti.  

Come in tutte le cose della vita, la miglior soluzione è sempre la via di mezzo. Essere troppo razionali è limitante, essere troppo passionali è pericoloso.  Quindi, quale dovrebbe essere il limite tra razionalità e passione? 

Ovviamente è difficile rispondere a questa domanda, ognuno potrebbe dare una risposta diversa in base alla propria esperienza e al proprio carattere. 
A tutti gli imprenditori, o aspiranti tali, è capitato, almeno una volta, quel momento cruciale in cui tutto non va come previsto e sorgono i dubbi se continuare o meno il percorso intrapreso. Credo che questo possa essere un ottimo esempio per capire l’importanza del giusto equilibrio tra razionalità e passione, tra sogno e realtà

Durante la mia precedente esperienza da startupper, mi è capitato tante volte di domandarmi se quello che stavo facendo fosse corretto. Le cose non andavano bene come sperarato e mi chiedevo ogni giorno se fosse il caso di continuare oppure di fermarmi. Se dopo la salita stava per iniziare, finalmente, la discesa. Se ero solo sfortunato o totalmente incapace. Se era colpa mia o degli altri.  Insomma, mille dubbi mi assalivano ogni giorno. 

Rispetto agli innumerevoli sacrifici, i risultati non arrivavano come sperato. E’ quello il momento chiave di ogni (aspirante) imprenditore. E’ il momento in cui, senza saperlo, decidi il tuo futuro. La domanda ricorrente è: mi fermo o continuo? 

E’ una domanda a cui non potrai mai dare un risposta senza che il dubbio comunque ti resti. Se proseguo forse perdo solo tempo e denaro. Se mi fermo forse perdo una grande occasione. Ecco, è proprio qui che interviene lo spirito sognatore o razionale dell’imprenditore. E’ qui che si vede la differenza tra un imprenditore distaccato che basa tutto sui numeri e sui fatti e quello passionale che segue l’istinto e la voglia di continuare a sognare, spesso andando contro i numeri stessi. 

La storia delle aziende, anche di quelle 2.0, è piena di esempi di progetti che andavano male inizialmente e poi sono esplosi. Vedi, ad esempio, AirBnb che inizialmente stava fallendo e oggi è un colosso. Dove sarebbero oggi i fondatori di AirBnb se non avessero insistito con la loro idea e avessero abbandonato il progetto? Impossibile rispondere a questa domanda. Però sappiamo che oggi hanno una azienda che vale miliardi di dollari

Dall’altro lato, però, ci sono innumerevoli startup, anche italiane, che sono partite già da almeno 2 o 3 anni, ma che non hanno avuto alcun riscontro tangibile sul mercato. In teoria sarebbero già fallite, eppure i fondatori sono ancora lì..che cercano di rianimare un progetto ormai già morto. Lo hanno capito tutti, ma non loro...che continuano a sognare che tutto possa riprendersi e che i numeri si impennino come sperato.  

Chi avrebbe ragione a questo punto? Il founder razionale che analizza i fatti e decreta la fine di tutto, oppure il sognatore, il passionale che ci mette anima e corpo e potrebbe riuscire nell’impresa di resuscitare un progetto morto? Anche qui, impossibile rispondere. Ognuno prende le proprie decisioni sulla base di un personale punto di vista, di come vive l’essere imprenditore. Per quanto sia difficile, credo che comunque sia obbligatorio da parte di ogni imprenditore mettersi in discussione. Si può essere passionali quanto si vuole, ma non bisogna essere ciechi e stupidi. Sarebbe un grande errore. 

Per quanta forza ed energia ci si possa mettere in un progetto, se non parte dopo tre anni (direi anche due)...probabilmente è il caso di pensare seriamente se continuare oppure fermarsi. Il rischio è quello di far passare tempo prezioso inutilmente, magari da investire in un nuovo progetto

Concludo con un consiglio per chi si trovasse in questa situazione di eterna attesa: dovete credere nella vosta idea, ma non dovete innamorarvene. Se funziona o ci sono prospettive concrete allora insistete. Se ci provate da anni e siete sempre lì, allora passate ad un nuovo progetto. 

Vi sentirete meglio, credetemi...

In bocca al lupo a tutti,
Stefano Passatordi


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martedì 13 maggio 2014

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La differenza tra fare l’imprenditore ed essere imprenditore

Fin da bambino sono stato affascinato dalla figura dell’imprenditore e già dai 14 anni quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande, io rispondevo sempre che volevo diventare un imprenditore e possedere una mia azienda.

In realtà neanche ne capivo bene il senso, associavo l’imprenditore ad una persona che viaggia tanto e che quando torna a casa porta con sè tanti regali per amici e parenti. Manco fosse Babbo Natale!

Negli anni non ho mai cambiato il mio obiettivo, anzi l’idea di diventare un imprenditore (o almeno di provarci) è cresciuta sempre di più e si è fatta sempre più forte dentro di  me.
Ciò che sicuramente è cambiata nel corso degli anni è la percezione di cosa voglia dire essere un imprenditore.

Secondo me, esiste una differenza tra fare l’imprenditore ed essere un imprenditore.

Chi fa l’imprenditore, spesso, in realtà, non lo è. Essere un imprenditore, invece, è qualcosa che hai dentro e che nessuno ti potrà mai togliere. Qualsiasi lavoro tu faccia, questo “dono” verrà sempre fuori...prima o poi.

Credo fortemente che essere un imprenditore sia un dono, al quale sono associate alcune qualità:
•    Coraggio: rischiare e decidere a favore dell’incerto piuttosto che il certo;
•    Determinazione: non importa cosa accada, non importa se le cose non vanno come previsto, l’importante è non fermarsi;
•    Intuito: capire e vedere ciò che gli altri non percepiscono e farlo prima di tutti;
•    Distacco: mantenere la razionalità sempre. Più mente e meno cuore;
•    Passione: lavorare con amore dando sempre il massimo;
•    Leadership: convincere tutti a seguirti senza alcun indugio;
•    Mediazione: trovare sempre il giusto equilibrio affinchè si possa procedere nella direzione voluta;
•    Ottimismo: ad ogni problema c’è una soluzione;
•    Abnegazione: enorme spirito di sacrificio e tanta tanta forza di volontà;
•    Creatività: la capacità di pensare soluzioni fuori dagli schemi comuni, ma sempre e comunque efficaci;
•    Integrità morale: rispetto massimo per se stessi e per gli altri;
•    Senso di responsabilità: avere sempre a mente che qualsiasi decisione può avere ripercussioni, anche negative, sulla vita e le famiglie dei collaboratori.

Secondo me, queste sono tra le principali qualità che dovrebbe possedere un imprenditore.
Alcune sembrano in contrasto tra loro, come “distacco” e “passione” che rappresentano un pò l’eterna dicotomia tra mente e cuore. Altre sembrano quasi banali, come il coraggio e l’ottimismo, eppure fanno la differenza in molte situazioni topiche della vita di un imprenditore.

Trovare tutte queste qualità in una sola persona è molto difficile. Trovarle nel giusto equilibrio tra loro è molto raro.
Ritengo che la differenza tra un imprenditore di successo (quello vero e non basato solo sui titoli di qualche articolo di giornale) e uno meno bravo, sia proprio nella perfetta armonia tra le suddette qualità.

E’ inutile essere molto ottimisti se poi la determinazione è poca. E’ inutile lavorare con passione se poi manca il coraggio.

Un imprenditore di successo è colui che ha tutte le qualità di cui sopra e le riesce a gestire nel migliore dei modi, equilibrandole e dosandole naturalmente in base alle circostanze.

Come già accennato in precedenza, credo che gli imprenditori si possano distinguere in due grandi gruppi, due grandi filosofie contrapposte del fare imprenditoria: il razionale e il passionale.

Per fare un esempio concreto, nel caso in cui l’azienda fosse in gravi problemi economici e con basse (ma non nulle) possibilità di risollevarsi, l’impreditore razionale, numeri e carte alla mano, stabilisce e decide che è il caso di chiudere e, magari, ripartire con un altro business. L’imprenditore passionale, invece, va in banca e ipoteca tutto ciò che ha per recuperare il denaro necessario a continuare, sperando che poi tutto migliori.

In tutti i casi, essere un imprenditore è difficile. Molto difficile. 

Puoi essere circordato da tante persone, tanti collaboratori, ma, nella realtà dei fatti, sarai sempre solo. 

Soprattutto quando le cose non vanno come sperato e tutto diventa più pesante.
Ed è qui, secondo me, la differenza tra “fare l’imprenditore” ed “essere un imprenditore”.
Il primo, probabilmente, scappa. Il secondo, sicuramente, resta.

Per quanto mi riguarda, solo il tempo potrà dire se faccio l’imprenditore o se sono un imprenditore...

Ad maiora!
Stefano Passatordi
@passatordi


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venerdì 21 marzo 2014

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Non accettare soldi dagli sconosciuti

“Non accettare caramelle dagli sconosciuti!” 

Quante volte ci siamo sentiti dire questa frase quando eravamo piccoli?!

Oggi, lo stesso consiglio lo vorrei dare a chiunque si trovi nella situazione di aver bisogno di cash per poter avviare o portare avanti il proprio progetto.

Ormai è chiaro a tutti, l’affermazione “Puoi avviare la tua startup anche senza soldi” è una bufala pazzesca!
Non credete mai a chiunque vi dica che “oggi come oggi, grazie ad internet, puoi avviare il tuo business con pochi euro”.

La realtà dei fatti è ben diversa:  Per fare startup i soldi servono e anche tanti!

E’ inutile prenderci in giro, servono i soldi per sopravvivere e pagare chi ci lavora, per sviluppare il prodotto/servizio, per validare la propria idea, per trovare e raggiungere i clienti, per strutturarsi e crescere come una vera azienda (se mai si arriva a questo punto..) ecc ecc.

Insomma, direi che è difficile farcela con “poche migliaia di euro”!

Se ancora non siete convinti...chiedetevi perchè esistono i VC e perchè investono anche somme molto molto alte in un solo progetto.

Quindi, uno dei principali problemi per chi vuole avviare o far crescere una startup è la “mancanza di cash”. Purtroppo, quando si è a corto di denaro da investire, i founder si possono far prendere dal panico e a quel punto parte l’ ”operazione  elemosina”!
Si inizia a chiedere soldi a chiunque, alla famiglia, agli amici, agli amici degli amici, ad angel scelti a caso, ad investitori di passaggio ad un evento. Insomma, si accetta di tutto e da tutti...

Sconsiglio fortemente questo approccio: accettare quei soldi vuol dire, probabilmente, condannare la vostra startup! 

Voi dovreste pensare alla vostra startup come a qualcosa di “prezioso”, da condividere solo con chi davvero merita e può fare la differenza, apportando un valore non solo economico.
Negli USA si chiama “smart money”, letteralmente “moneta intelligente”, appunto perchè il vero valore che devono apportare questo tipo di investitori non è solo quello monetario, ma anche l’esperienza in quel mercato, la rete di contatti, la capacità di procurarvi anche dei clienti e, soprattutto, l’intelligenza e la serietà di agire sempre e comunque per il bene della startup.

Conosco amici e persone che, pur di andare avanti, hanno accettato soldi (anche piccole cifre) da amici, parenti e privati vari. Purtroppo, però, dopo l’euforia inziale sono caduti in un baratro ancora più profondo.
Non solo i (pochi) soldi sono finiti presto, ma si sono trovati con una captable assolutamente inaccettabile per un investitore professionale.
Alla fine, ne sono usciti con tanti debiti (anche morali), hanno perso tempo prezioso e si sono giocati l’intero progetto.

Lo stesso potrebbe capitare se si sceglie il VC sbagliato, probabilmente è anche peggio perchè tutto è amplificato rispetto all’investimento “fatto in casa”.

Prima di accettare un investimento, anche se siete con l’acqua alla gola, dovete valutare con attenzione da chi state accettando quei soldi. Dovete prima informarvi e conoscere meglio l’investitore e, soprattutto, chiedervi che valore può apportare oltre a quello puramente economico.

Spesso è meglio perderlo un investimento che accettarlo...se all’inizio vi può sembrare una occasione da non perdere, in seguito potreste pentirvi della scelta. Magari è un ottimo investitore, ma, per varie ragioni, può  non essere quello adatto a voi..

In questi anni ho sentito dire spesso che firmare un contratto di investimento è peggio che firmare per un matrimonio. Credetemi...è assolutamente vero!

A questo punto vi chiedo, vi sposereste mai con una persona sconosciuta? Vi sposereste mai solo ed esclusivamente per soldi?

Buon “matrimonio” a tutti,
Stefano Passatordi
@passatordi
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martedì 28 gennaio 2014

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La mia esperienza con investitori italiani e stranieri

[Disclaimer: nessun investitore è stato maltrattato durante la stesura del post.]

Dal 2009 al 2012 ho avuto modo di incontrare investitori americani, israeliani, inglesi, spagnoli e, ovviamente, italiani.  

Nel mio piccolo, ho potuto constatare come ognuno di loro si comporti in maniera diversa dall'altro e come, tipicamente, la diversità di comportamento sia fortemente legata alla cultura del paese in cui operano.

Quasi tutti gli investitori, li ho conosciuti o tramite eventi a cui partecipavo presentando la mia startup  oppure tramite contatti in comune.  

Tre veloci premesse:
  1. Principalmente le mie considerazioni si limitano alla velocità di risposta degli investitori, perchè è un fattore che io ritengo importante. Giudicare anche altri fattori vorrebbe dire entrare nel merito di alcuni episodi e preferisco evitare.
  2. Con il termine investitori, in questo post, intendo solo i VC con dietro un fondo e non dei privati/angels.
  3. La mia esperienza è comunque limitata, stiamo parlando di una ventina di investitori in tutto.
Con il rischio di generalizzare, questo è quello che tipicamente è accaduto con gli investitori americani e israeliani: raccontavo la mia idea, mi lasciavano il loro biglietto da visita chiedendomi di inviargli le slide del pitch appena possibile. Tutto contento, la notte inviavo, via email, ciò che mi avevano chiesto. 
Il giorno dopo, tipicamente in tarda mattinata, ricevevo una telefonata da uno degli analisti del fondo che, partendo dalle slide, approfondiva con altre domande. Nel giro di 24/48 ore mi facevano sapere se avevano intenzione di continuare oppure no. In particolare, in base alla mia esperienza, gli investitori israeliani sono più tecnici e pratici ed entrano molto più nel merito del prodotto rispetto a quelli americani che ho incontrato.

Anche con gli investitori inglesi e spagnoli è andata più o meno come sopra, l'unica differenza sono stati i tempi di risposta. Gli inglesi mi facevano sapere nel giro di 10/15 giorni, gli spagnoli anche un mese....alcuni non hanno mai più risposto.

Arriviamo agli investitori italiani che ho avuto modo di incontrare e conoscere in questi anni: dal primo pitch, in genere, passava almeno un mese prima di aver loro notizie. Ovviamente dopo mie sollecitazioni. Alcuni hanno risposto che non gli interessava, altri hanno chiesto più tempo. Sono arrivato anche a tre mesi e oltre di attesa prima di ricevere una risposta concreta. 

A parte i tempi dilatati, ho notato un'altra grandissima differenza tra gli investitori italiani e gli altri che ho incontrato nel mio percorso. 
Mentre, ad esempio, l'investitore americano o israeliano, in genere, ha ascoltato fino alla fine il mio pitch...alcuni investitori italiani che ho incontrato, mi interrompevano continuamente e non per fare domande, ma per spiegarmi perchè secondo loro quello che dicevo non era corretto.

Indipendentemente dagli esiti, che potevano essere negativi in entrambi i casi, resta un fatto molto importante a mio parere: l'investitore deve fare l'investitore e l'imprenditore deve fare l'imprenditore.   

Senza distinzioni di nazionalità e cultura, credo che, in generale:  

L'investitore può o meno condividere la visione dell'imprenditore, ma non può e non deve arrogarsi il diritto di ergersi a tuttologo e spiegare all'imprenditore ciò su cui l'imprenditore stesso si scontra ogni giorno, magari da anni.  

A meno di essere avanti ad un investitore che ha grande esperienza nel mercato di riferimento, nella maggior parte dei casi, invece, è l'imprenditore che conosce meglio dell'investitore e degli analisti del fondo ciò di cui si sta parlando. 

Se l'imprenditore non è in grado di convincere l'investitore della sua idea e della sua visione è un altro discorso...  

Per farvi un esempio concreto, nel 2011 ho incontrato un investitore italiano che mi aveva detto che, secondo lui, il piano dei prezzi che avevo pensato era totalmente sbagliato...infatti, continuava lui, il mio principale competitor puntava a prezzi completamente diversi. 
Io, ho cercato in tutti i modi di fargli capire che quei prezzi venivano fuori da mesi di studio e di test con gli utenti e che, secondo me, erano assolutamente corretti. 

Ovviamente non sono riuscito a convincerlo....ma, con mia grande soddisfazione, solo due settimane dopo, il mio principale competitor ha cambiato il suo piano dei prezzi e lo ha reso quasi identico al mio!

Questo a testimoniare che, per quanto un investitore possa essere bravo e di esperienza, è sempre l'imprenditore quello che dalla mattina alla sera suda e combatte in quel particolare mercato…  

Concludo ripetendo un concetto che vorrei fosse chiaro, tutto ciò che ho riportato è legato solo alla mia personale esperienza e, molto probabilmente, molti di voi avranno avuto esperienze completamente diverse.   

Buon pitch a tutti,
Stefano Passatordi


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